Rosa pura contraddizione
Dall’ignoto paesino abruzzese, una delle prime sedi di lavoro, tornavano spericolatamente su una moto – una Benelli?, una Guzzi? – con sidecar. Attraversavano il grande parco nazionale voluto da Benedetto Croce sfidando la notte e le intemperie. Quando arrivò il sospirato trasferimento nella città dalle antiche mura longobarde, la meta definitiva sembrava raggiunta.
La casa, nel nucleo più vecchio della città, era proprio a ridosso di Santa Sofia, gioiello inestimabile di architettura. Per strettissimi vicoli, attraversando la silenziosa piazza del Piano di Corte, raggiungevamo il Corso, poi passavamo sotto il bellissimo arco dedicato al vincitore dei Parti – simbolo eterno della pax romana – e risalivamo fino alla Rocca dei Rettori, per andare a giocare nella villa comunale.
Ma l’avvenimento più importante era l’uscita dopo il tramonto: allora la sera si riempiva di lucciole e di mille profumi, mentre andavamo lungo il viale degli Atlantici, e già il nome era una promessa di fantastiche avventure. Alla fine della salita il viale si allargava e diventava una lunga piazza, dominata in fondo dalla sagoma scura della Pace Vecchia. Sotto, in lontananza, la pianura avvolta da caldi opachi vapori: e si favoleggiava delle streghe danzanti sotto il noce millenario, alla confluenza dei due fiumi che lambivano la città.
Quando poi la pallida luna (“… Altri fiumi, altri laghi, altre campagne/sono là su…”) copriva di polvere lattea il paesaggio, tutto si fermava per incanto, come nella favola della bella addormentata. Il mondo, la felicità, la stagione lieta, lo stato soave della prima fanciullezza erano lì: “Mi misero la luna/in mano:/io la riposi/nello spazio/e l’usignolo mi premiò/con la rosa e l’aureola.” Solo un grande poeta come Garcìa Lorca seppe cogliere quell’attimo di assoluto splendore.
Là, vicino ai fiumi, passava la gloriosa via consolare trait d’union tra Roma e la Grecia; e già Roma, ancora prima di appropriarmene, era vicina: bastava imboccare quella strada e Adriano, il Pantheon, il Campidoglio diventavano miei per sempre. Il passaggio – la guerra ancora una volta segnò la frattura – avvenne senza soluzione di continuità. I “…vaghi boschetti di soavi allori/di palme e di amenissime mortelle,/ cedri et aranci ch’avean frutti e fiori/…/e tra quei rami con sicuri voli/cantando se ne gìano i rosignoli…” erano pieni di misteri, promesse, voci e profumi così nel giardino della piccola città come nella grandiosità dei parchi romani.
Forse era più intenso quello degli aranci all’Aventino e delle rose al colle Oppio, quando – le mani intrecciate – si passeggiava con i primi amori. Ma si confondeva e si sovrapponeva, quel profumo, a quello della terra appena smossa della campagna tra le morbide quiete colline dove tornavamo d’estate.
A quello dell’erba appena tagliata, del caprifoglio, del gelsomino.
A quello, sconosciuto e solo, della poesia delle rose antiche:
la flors aiglentina
de neve e rrose mort’è ‘l colore
rosa fresca aulentissima
de rose e de viole, ke rende grande odor
rosa novella, fiore di rosa
et assembrargli la rosa e lo giglio
cera rosata
viole, rose e fior ch’ogni uom abbagli
come succisa rosa
e a quel color, che vince oggi le rose
fresca e giuliva più che bianca rosa
tra gli ombrosi giardini, cogliendo le rose
vidi le rose e non pur d’un colore
amor ne vien ridendo con rose e gigli in testa
eranvi rose candide e vermiglie
e giglio d’orto e rosa de verzieri
la verginella è simile alla rosa
or prendeva un ligustro or una rosa
Th’expectancy and the rose of the fair state
tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo
belle rose porporine
ieri sei nata, morirai domani
rose purpuree sovra bianche nevi
na rosa fatta in cira
torna a fiorir la rosa
e velen frammezzo le rose del piacere
e dovunque rosai erano in fiore
le rose – rugiadose
e l’ulivo, e la rosa, e l’ape e l’orno
cinto di bianche rose
i canti, le rose
non altro che una rosa ai suoi capelli
un mazzolin di rose e di vïole
e ne le rose un dolce ardor s’accende
il vento portava odor di rose e di viole
se noi andiamo verso quelle rose
nell’ombra del palazzo tutto un fiorir di rose
increspa la gonna a rose turchine
che vanno in su, fra campi di rose
rose in fiamme
cammina con rose il torrente
la rosa che sboccia in fondo al mio cuore
rose semina, rose raccoglie
è una rosa carnale di dolore
così sfogliai una vana rosa.